La fedeltà al tempo della Cirinnà
di Giuseppe Brienza (La Croce Quaotidiano)
Verso l’addio all’obbligo di fedeltà anche nel matrimonio? Avanza il disegno di legge che mira a sopprimere parte dell’articolo 143 del Codice civile: «visione ormai superata e vetusta del matrimonio», decanta la prima firmataria del ddl, l’On. Laura Cantini (Pd). La “legge della vergogna”, insomma, come ampiamente prevedevamo, detta la linea del matrimonio prossimo venturo…
Prima della pausa natalizia, la pruriginosa tematica dell’adulterio è finita sul tavolo della Commissione Giustizia del Senato. Stiamo parlando del disegno di legge (di una sola riga) depositato a Palazzo Madama già da tempo, che vorrebbe togliere la fedeltà come criterio di misura della relazione matrimoniale. Dopo averlo estrapolato dal novero dei “diritti-doveri” concessi a quel para-matrimonio gay che sono le Unioni civili, introdotte dalla “legge” n. 76/2016, ora sarebbe la volta del matrimonio tra un uomo e una donna. Si segnala, tuttavia, che la legge Cirinnà non fa alcun riferimento non solo all’obbligo di fedeltà, ma anche a quello, altrettanto importante, di collaborazione, che invece scaturisce, come il primo, dal matrimonio naturale.
La legge Cirinnà, detta anche “legge della vergogna” o “Renzi-Alfano” perché alla fine l’hanno fatta passare loro, ha imposto come noto agli Italiani il matrimonio gay dopo che il 30 gennaio 2016 al “Family Day” del Circo Massimo (Roma) oltre un milione di persone gli hanno urlato a furor di popolo il loro “NO”. Come ricorderemo, è entrata in vigore a tempo di record il 5 giugno scorso e, all’art. 1, istituisce «l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale», richiamando truffaldinamente l’art. 2 della Costituzione.
Per costituire il para-matrimonio gay, quindi, la “legge” Cirinnà richiede una dichiarazione all’ufficiale di stato civile da parte di «due persone maggiorenni dello stesso sesso […] alla presenza di due testimoni». Circa i diritti e i doveri degli uniti civilmente il comma 10 dell’art. 1 prescrive «l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione».
Rispetto all’art. 3 dell’originario DDL che stabiliva fra i «Diritti e doveri derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso» anche il dovere di fedeltà, la “legge della vergogna”, pur attribuendo arbitrariamente il diritto alla pensione di reversibilità al “vedovo gay”, concede agli “uniti civilmente” la “libertà di corna”. Essi possono infatti intrattenere liberamente quante relazioni omosessuali vogliono con altri e più partners (v. “poliamore”), senza poter con questo patire alcuna conseguenza legale.
Con il Messaggio n. 5171 del 21 dicembre 2016, poi, l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale ha ultimato il recepimento a fini previdenziali e assistenziali della “legge” Cirinnà, equiparando integralmente il componente dell’unione civile al coniuge. Pertanto, a decorrere dal 1° luglio 2016, ai fini del riconoscimento del diritto alle prestazioni pensionistiche e previdenziali e dell’applicazione delle disposizioni che le disciplinano, il componente dell’unione civile è totalmente equiparato al componente di una famiglia fondata dal matrimonio: tra gli istituti ricompresi, a titolo esemplificativo, ci sono la pensione ai superstiti, l’integrazione al trattamento minimo, la maggiorazione sociale, la successione iure proprio e quella legittima.
Mentre il testo originario del disegno di legge Cirinnà prevedeva che, dall’unione civile, derivasse «l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione», alla fine della fiera le coppie gay unite civilmente si vedono riconosciuta una dignità pari al matrimonio dall’ordinamento italiano e, persino, sono in grado di comprarsi un figlio con la pratica dell’utero in affitto eppoi fare, alla faccia della prole, i loro porci comodi!
Durante l’iter (perché dibattito parlamentare vero e proprio non c’è stato) che ha portato all’approvazione finale della “legge” 76/2016, ancora ricordiamo le deliranti dichiarazioni della Cirinnà sui social network, che definivano l’Unione civile senza obbligo di fedeltà rescindibile «con un battito di ciglia» (aveva cambiato presto opinione la senatrice Piddina, rispetto al testo che aveva predisposto originariamente).
La “legge della vergogna”, in conclusione, con il ddl Cantini-Cirinnà-Lo Giudice “detta la linea” dell’unione coniugale del futuro disegnando il matrimonio prossimo venturo: solo diritti e doveri esclusivamente economici. Quindi niente promesse, né onore reciproco, né impegno morale a rispettare la parola data. Prima le unioni gay hanno rincorso il matrimonio, ora che possono farsi ascoltare dal potere corrotto del Governo e del Parlamento, vorrebbero di più: che i futuri coniugi si liberino di questo “fardello” passatista della fedeltà! L’aveva indicata, questa direttiva di marcia, fin dal maggio scorso Mario Adinolfi e, su questo giornale, avevamo in più occasioni detto la nostra su cosa si nascondeva dietro l’estrapolazione del dovere di fedeltà dal ddl Cirinnà (cfr., per es., Davide Vairani, Servono politici veramente cristiani, in “La Croce quotidiano”, 28 maggio 2016, p. 2).
“Modifiche all’articolo 143 del codice civile, in materia di soppressione dell’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi”, questo è l’Atto Senato, n. 2253, che vorrebbe superare il «retaggio di una visione superata e vetusta del matrimonio». Ha spiegato inoltre la senatrice Cantini (perito chimico), che «il giudice non può fondare la pronuncia di addebito della separazione sulla mera inosservanza del dovere di fedeltà coniugale. Inoltre la legge 219 del 2012 ha superato la distinzione tra figli legittimi e naturali, che rese fondamentale all’epoca l’obbligo di fedeltà tra i coniugi. Da questo punto di vista l’accordo raggiunto sulle unioni civili recepisce un modello molto più avanzato, che dovrà essere recepito dal codice civile». Come spesso è accaduto negli ultimi decenni, a fare da battistrada a tali esiti è stata la giurisprudenza della Corte di Cassazione che, ricordano i promotori del DDL “corna legali”, ha statuito che «il giudice non può fondare la pronuncia di addebito della separazione sulla mera inosservanza del dovere di fedeltà coniugale» (cfr. Cass. n. 7998/2014).
E invece il patto coniugale, come disegnato dal nostro ordinamento civilistico e dalla Costituzione Italiana, dovrebbe impegnare in modo incondizionato la fiducia reciproca. La fedeltà che fa parte integrante di esso va accolta e contraccambiata con l’obbedienza pronta a quanto l’amore richiede. Solo così il matrimonio è in grado di perfezionare in ogni aspetto l’essere umano e irrobustire i valori e i rapporti umani attraverso la comunione autentica, il rispetto reciproco, la fecondità.
Sebbene la cosa potrebbe essere legittimamente criticata perché rischierebbe di determinare la totale omologazione al matrimonio, siamo d’accordo con chi ha sostenuto la necessità di prevedere l’obbligo di fedeltà anche per le Unioni civili. Infatti, l’amaro calice, va bevuto fino in fondo: chi si è macchiato dell’onta di aver introdotto il matrimonio gay nel nostro ordinamento, deve assumersi tutta la responsabilità di tale obbrobrio. Sul punto, commentando la presentazione del Ddl Cantini-Cirinnà-Lo Giudice, anche il presidente dell’Associazione matrimonialisti italiani Gian Ettore Gassani si è espresso in tal senso, in quanto «la fedeltà è un valore laico e deve valere per tutti».
«La fedeltà resta una delle ragioni per cui si sta insieme – ha affermato infatti l’avv. Gassani – nel 60% dei casi ci si separa proprio per infedeltà […]. Rimango sfiduciato da questi comportamenti, la fedeltà coniugale non può essere cestinata e lo dimostra il fatto che chi è stato tradito può chiedere il risarcimento del danno morale» (cit. in Laura Bazzan, Matrimonio: verso l’addio all’obbligo di fedeltà, in “news studio Cataldi”, 12 dicembre 2016, www.studiocataldi.it).
Siccome oltre a istituzione naturale il matrimonio è anche un Sacramento, non possiamo non concludere questo articolo proponendo ai coniugi cristiani che ci stanno leggendo un passaggio bellissima di una nota preghiera del teologo Romano Guardini (1885-1968), sacerdote e scrittore italiano naturalizzato tedesco, molto amato da Papa Benedetto XVI: «Dammi il coraggio di osare. Fammi consapevole del mio bisogno di conversione, e permetti che con serietà lo compia, nella realtà della vita quotidiana. E se mi riconosco, indegno e peccatore, dammi la tua misericordia. Donami la fedeltà che persevera e la fiducia che comincia sempre, ogni volta che tutto sembra fallire».